La Vipassana è un’antica pratica meditativa che, secondo la tradizione, veniva utilizzata dal Buddha in persona durante il suo cammino verso l’illuminazione.
Per farla bisogna seguire poche e semplicissime istruzioni, ma l’impegno richiesto è comunque notevole. Non c’è verso: o la ami, o la odi.
In pali, lingua indiana imparentata con il sanscrito, il termine Vipassana significa “guardare dentro” o “vedere chiaro”. Questa tecnica, come anche la Zazen, si fonda sull’osservazione. L’intento del praticante è quello di esplorare, senza giudicare, senza interpretare, senza modificare, le proprie sensazioni corporee, da quelle più grossolane ed evidenti fino a quelle più sottili e profonde.
Perché praticare la meditazione Vipassana?
Al di là degli effetti più tangibili di calma, concentrazione e pace interiore, la Vipassana aiuta chi la pratica regolarmente a sviluppare un senso di equanimità verso l’esistenza. In altre parole, rimanendo a osservare quello che accade nel corpo, senza la presunzione di dover capire o intervenire a tutti i costi, si impara a non coltivare attaccamento verso le sensazioni piacevoli e nemmeno avversione per quelle che invece ci mettono a disagio.
L’attaccamento e l’avversione, raga e dvesa, come ci insegnano gli antichi saggi dell’India, sono fonte di perenne infelicità.
Il non attaccamento non significa che dobbiamo rinunciare alle cose belle e piacevoli della vita, né tantomeno smettere di desiderarle e inseguirle. Piuttosto, sarebbe più saggio diventare consapevoli che queste, una volta conquistate, non dureranno per sempre. Chi va in vacanza questo lo sa bene. Quindi, il “non attaccarsi” vuol dire questo: fare in modo di non soffrire per la loro mancanza o anche per la prospettiva di perderle.
Viceversa, l’avversione ci porta naturalmente a respingere le cose spiacevoli. Questo non vuol dire assumere un atteggiamento arrendevole o non agire per cambiare le circostanze sfavorevoli, ma anche qui è necessario avere consapevolezza che la fatica, la sofferenza, il disagio, i duri colpi che la vita ci infligge, sono spesso inevitabili. Opporre troppa resistenza o non tentare di affrontarli non farà che produrre ulteriore sofferenza. Per fortuna, anche le situazioni più negative e infelici, come la loro controparte tutta rosa e fiori, hanno una fine programmata.
Pertanto, la consapevolezza della loro impermanenza ci conduce, nel tempo, a sviluppare un atteggiamento equanime e anche più compassionevole nei confronti di quello che accade intorno a noi. Se tutto ha una fine, infatti, riusciremo a mantenere fermezza, serenità e autocontrollo in qualunque situazione.
Un altro beneficio della Vipassana riguarda un aspetto un po’ più metafisico. Secondo l’antica filosofia del tantra, gli esseri viventi sono soggetti a un continuo ciclo di morte e rinascita, detto Samsara. In vita, per la legge karmica di azione e reazione, ogni cosa che facciamo, ogni cosa che pensiamo, produce un seme potenziale che potrà “germogliare” durante la vita stessa o in una vita futura. In altre parole, questo seme, detto samskara, si tradurrà per noi in un’esperienza da vivere, non importa se positiva o negativa. Ogni esperienza non farà che seminare altri samskara, uno dopo l’altro, in un circolo senza fine. Grazie alle meditazione, invece, rimanendo immobili e concentrati, saremo in grado di far sbocciare questi semi prima del tempo, liberandoci dagli effetti dirompenti e inesorabili del karma. Ciò si traduce in esperienze anche molto intense e inspiegabili a livello razionale durante il corso della meditazione.
Infine, è importante ricordare come il corpo non sia un elemento così “separato” dalla nostra mente come potremmo supporre. Il corpo, cioè, non è uno strumento inerte in attesa di ricevere ordini da parte del nostro cervello. Pelle, organi, muscoli, ossa e cellule, insomma tutti i tessuti che costituiscono l’organismo, sono intimamente connessi con le nostre emozioni e i nostri stati d’animo. In questo senso la meditazione Vipassana, attraverso una profonda e attenta osservazione del corpo, ci aiuterà a stanare tensioni e districare nodi irrisolti. In altre parole, faremo un’accurata pulizia interiore e potremmo uscirne davvero rigenerati.
Come praticare la meditazione Vipassana?
Come detto, almeno a prima vista, il metodo potrebbe apparire piuttosto semplice e lineare. Si parte concentrandosi sull’ambiente esterno, in particolar modo sui rumori, per poi passare all’interno grazie all’osservazione del respiro. Una volta raggiunto uno stato di quiete e stabilità, posso dedicarmi al mio oggetto principale, spostando l’attenzione sulle sensazioni corporee, di qualunque natura esse siano.
La mente, come in tutte le meditazioni, farà i capricci e tenderà a vagare senza controllo come una barca in balia della tempesta. In particolare, le persone che non sono abituate a “guardarsi dentro” o tendono a nascondere un po’ di polvere sotto il tappeto, potrebbero resistere alla pratica o vivere alcune esperienze con un livello di disagio talvolta insostenibile. Anche la posizione seduta, dopo qualche tempo, potrebbe diventare decisamente poco confortevole, e per questo si consiglia di praticare un po’ di asana per aprire il bacino e riallineare la colonna vertebrale prima di mettersi a sedere per lungo tempo.
Se nella meditazione zen osserviamo i contenuti della mente, nella Vipassana andiamo a esplorare in modo puntiglioso tutte le sensazioni che emergono dal corpo in ogni sua parte. Possono essere formicolii, brividi, vampate di calore, dolori, tensioni, pruriti, pulsazioni, a seconda dell’esperienza vissuta da ogni praticante. Tale osservazione deve essere graduale e ordinata, dalla testa ai piedi, e viceversa. Per esempio, posso iniziare a percepire i miei piedi e sentire quello che c’è per qualche minuto. Poi passo alle gambe, quindi alle cosce e su fino alla testa. Ogni tanto, posso concedermi del tempo per fare una scansione completa del corpo e prendere consapevolezza delle sensazioni che dominano in quel momento. Sarà a discrezione del partecipante decidere di soffermarsi su alcune sensazioni particolarmente intense o vivaci e conoscerle così in modo più dettagliato.
Per una buona riuscita della pratica, è importante che le sensazioni vengano osservate e vissute senza giudizio, accettando quello che c’è. La mente, per quanto sia concentrata, non deve essere attiva nell’immaginare, nel visualizzare, nel ragionare o nel cercare qualche significato in ciò che si percepisce. Il cuore della Vipassana sta appunto nell’osservare, accogliendo quello che si trova, senza respingerlo e senza cercare di modificarlo affinché diventi più piacevole e/o accettabile.
In questi termini, il tutto potrebbe sembrare difficile e controintuitivo, il contrario di quello che faremmo normalmente tutti i giorni, ma abbi fede, funziona. Parola di Buddha.