Più o meno tutti, quando si apprestano ad affrontare una dieta o un regime alimentare più controllato, si pongono dubbi esistenziali riguardo al famigerato “sgarro”. Posso concedermi qualche vizio ogni tanto? Se mangio regolare tutta settimana, che c’è di male se nel fine settimana mi sparo una pizza ultra-farcita o eccedo un po’ nell’aperitivo con gli amici?
Queste sono domande più che legittime, ma il vero quesito attorno a cui arrovellarsi e perderci il sonno, in realtà, è questo: mi posso permettere di sgarrare?
Lo sgarro viene condonato in molte diete, se non addirittura incoraggiato, perché costituisce una sorta di premio per i nostri sforzi, allenta la pressione di un regime magari troppo restrittivo e lo rende pertanto più sostenibile nel tempo. Ora io non voglio prendere il posto di nutrizionisti o dietologi che sicuramente sapranno argomentare meglio di me sulla questione, ma vorrei riflettere su una cosa.
Poniamo che io mi metta a grattare con insistenza la pelle sul mio avambraccio. Se la pelle è sana, robusta e ben nutrita, al massimo mi procurerò un po’ di arrossamento e qualche graffio superficiale. Ma se sopra il braccio io avessi una brutta ferita che si sta rimarginando? I processi di guarigione verrebbero ritardati e in parte, probabilmente, vanificati. Più la ferita è grave, più il mio “vizietto” di grattarmi sarà dannoso.
Invece di chiedermi se è giusto sgarrare o meno, devo rispondere a una sola e semplice domanda: me lo posso permettere?
È ovvio che, se sono un bodybuilder che aspira a salire sul palco di Mister Olympia, non mi posso permettere sgarro alcuno. Ma se mi alleno con costanza e non ho particolari mire agonistiche, è evidente che ogni tanto posso mangiare di più e male senza correre il rischio di ingrassare troppo o infliggere danni irreparabili alla mia salute.
Per chi è molto in sovrappeso ed è a rischio di malattie cardiovascolari, il discorso cambia di molto, però. Se devo perdere tanto peso e faccio fatica, se ho la glicemia alle stelle e il mio metabolismo è un po’ farraginoso, una capatina da McDonalds non farà che intralciare i miei progressi e farmi tornare indietro come un gambero suonato.
Se la dieta è troppo estrema, mi indebolisce in modo eccessivo e viene vista soltanto come una via crucis, se assieme ai depositi di grasso perdo anche molta preziosa massa muscolare, allora è il caso di rivedere la mia strategia. Mettersi a dieta non significa non mangiare niente, altrimenti basterebbe il digiuno.
Ma io ho una vita sociale, ho i miei amici, i miei aperitivi, le mie cene al ristorante, insorgerà qualcuno. E allora, io invito a riflettere bene anche sul concetto di “amici” e di “frequentazioni”. Se le persone che mi stanno accanto non mi supportano nel mio proposito di migliorare la forma fisica o prevenire determinate malattie, se ogni volta che usciamo fuori a mangiare mi lanciano frecciatine velenose o mi invitano più o meno insistentemente allo sgarro, sono proprio sicuro che loro vogliano veramente il mio bene? Sono proprio sicuro di volermi circondare da queste persone?
Se poi mi rendo conto che, anche senza pressioni esterne, desidero ardentemente lo sgarro, significa che mi sta sfuggendo il punto più importante. Se tendo a ingrassare non appena guardo un piatto di spaghetti, non è che, dopo aver collezionato diete su diete neanche fosse una raccolta punti, arriverà un bel giorno in cui potrò sedermi a tavola e mangiare tutto quello che voglio come nel paese dei balocchi. Se una dieta sana ed equilibrata non diventa parte del mio stile di vita, se non trovo piacere nel farla e non mi godo i vantaggi che questa comporta, tanto vale non provarci nemmeno. È una battaglia persa in partenza. Posso resistere finché non riesco, ma non appena mollo la presa, la barca andrà alla deriva.
Per quanto mi riguarda, controllare ciò che mangio ogni giorno non mi deve pesare in alcun modo. Non è che io mi metto a esaminare ogni mattina la condizione della mia tartaruga addominale e poi decido se mangiare di più o di meno. Ho già appurato da tempo che, allo specchio, non mi piace quello che vedo (o perlomeno, non mi piace mai ABBASTANZA) e quindi ho smesso di interessarmene. Cerco soltanto di dare al mio corpo quello di cui ha bisogno nel limite delle mie possibilità.
Perché voglio qualcosa in cambio: forza, energia, leggerezza, concentrazione, armonia, benessere e tutto ciò che è possibile ottenere. Commetto degli errori, non ho mai la certezza assoluta che un determinato alimento mi faccia più bene che male e, ogni tanto, allento la presa.
Ma anche se me lo posso permettere, anche se ho imparato a riprendere in mano la mia forma fisica ogni volta che ho bisogno di rientrare in carreggiata, mi pento quasi sempre dei miei sgarri. Perché ho deciso di sacrificare il piacere immediato del cibo per un bene superiore.
Il mio bene.
E quando ci si abitua a volerlo, e ottenerlo, è davvero difficile tornare indietro.